“Tremila aderenti a organizzazioni criminali arrestati negli ultimi tre anni. Più di trenta le grandi operazioni anticlan effettuate dalle forze dell’ordine. Circa centoventi pentiti gestiti da magistratura e polizia. Tutto questo non succede in Sicilia, Campania o Calabria… ma nella ricca e civilissima Milano”. Dirlo oggi è scontato, ma non lo era affatto nel momento in cui ho scritto questo testo: gennaio 1997, editoriale di apertura della prima newsletter di “Omicron”, l’Osservatorio sulla criminalità organizzata al Nord che ho fondato insieme a Gianni Barbacetto e a un gruppo di giornalisti e ricercatori, alcuni provenienti da Società civile (vedi).
Ho recuperato il primo numero di “Omicron” – che oggi continua a esistere e a lottare insieme a noi su internet e con altra struttura all’indirizzo www.omicronweb.it – da uno scaffale impervio. Rileggendolo, lo confesso, provo l’inevitabile orgoglio di avere scritto con quindici anni di anticipo quello che penne ben più autorevoli e specializzate sembrano avere scoperto solo oggi, per non parlare di sindaci, prefetti, ministri dell’Interno nordici fino al midollo… e cioè che a Milano la mafia, e in particolare la ’ndrangheta (vedi) esiste, e avevamo tutti gli strumenti per accorgercene (e intervenire) molto tempo fa.
Ma alla soddisfazione privata del “ve l’avevo detto” si accompagna la rabbia pubblica per il tanto tempo che si è perso. “Omicron” in quegli anni era una voce isolata, e mentre nelle aule bunker di mezza Lombardia si celebravano maxiprocessi con centinaia di imputati legati soprattutto ai clan calabresi, nessuno o quasi riteneva importante o almeno interessante cercare di capire che cosa era la presenza mafiosa. E di capire se quelle centinaia di imputati chiusi nelle gabbie, al di là dei reati per cui venivano giudicati, non fossero ormai diventati un pezzo della società, dell’economia e della politica lombarda, e non la stessero condizionando più di quanto si potesse immaginare. Così gli anni sono passati, i clan hanno assorbito il colpo delle pesanti condanne a boss e soldati “storici” e hanno consolidato il loro potere, nei cantieri dell’edilizia come in certi consigli comunali.
Quindici anni dopo quel primo editoriale, “Omicron” continua a essere una preziosa fonte di informazione sui fatti di mafia, libera e gratuita, a disposizione di tutti su internet. Con mezzi limitatissimi, fa luce anche su quelli che Nando dalla Chiesa definisce i “coni d’ombra” dove la mafia lombarda prospera: le cittadine dell’hinterland di Milano, i paesi della Brianza e del Varesotto… posti spesso giudicati poco “sexy” dalla grande informazione, ma che rappresentano la vera base del potere, della ricchezza e del consenso della ’ndrangheta lombarda.
Un piccolo ricordo personale, all’uscita Omicron fu salutato come “il foglio rosa dell’antimafia”, caratterizzandosi anche visivamente come quel rude bollettino in carta salmonata che mensilmente veniva distribuito agli “addetti ai lavori” e agli interessati.
Ebbene, nessuna raffinata strategia di marketing e di comunicazione, dietro il “foglio rosa dell’antimafia”. Molto più banalmente, dopo una interminabile nottata per chiudere il primo numero con Gianni Barbacetto, Simona Peverelli e pochi altri, la mattina successiva, a poche ore dalla presentazione alla stampa a Palazzo Marino, l’unica carta che avevo a disposizione per fotocopiare i numeri da distribuire era rosa!
Fummo poi costretti per anni a cercare in maniera rocambolesca la carta rosa per tener fede all’immagine che si era casualmente creata.