Quando si cita Grillo io non penso a Beppe, ma a uno che porta lo stesso cognome e ha un nome che è una promessa.
Salvatore Grillo è uno dei più grandi personaggi di Milano, della Lombardia. E per chi non lo conosce: è un problema suo.
Dirigente della Bocconi e da sempre responsabile e delle politiche di diritto allo studio e dei rapporti con gli studenti, è direttore del Pensionato universitario dal 1970. Ha visto passare da quelle stanze migliaia di studenti e diverse generazioni di “futura classe dirigente”: oggi ministri, sottosegretari, amministratori delegati e presidenti di multinazionali, banche, istituzioni economiche e finanziarie italiane e internazionali, politici, professionisti…
Battuta sempre pronta, provocatore nato, linguaggio pirotecnico, lui, Grillo, è sempre stato una presenza preziosa e stimolante. Paradossale che ai tempi dell’estremismo di sinistra passasse per un agente della reazione e che oggi molti lo chiamino “il compagno Grillo”, quando lui si lamenta con la consueta assenza di pacatezza del moderatismo degli attuali studenti.
Da rappresentante degli studenti del Pensionato Bocconi – nei primi anni Ottanta – ho avuto con lui scontri (verbali, s’intende) senza esclusione di colpi, e a distanza di anni ne ridiamo insieme. Perché nel frattempo lui li ha raccontati in un delizioso libro di memoria, Via Bocconi 12 (questo il titolo), e io, da editore, quel libro l’ho pubblicato con il marchio Melampo, anzi l’ho proprio voluto insieme agli altri ex “contestatori” del Pensionato, amici di ieri e di sempre, tra cui Jimmy Carocchi, compagno di mille strade condivise.
Continua a rinfacciarmi (ma se ne bea raccontandolo) di un manifesto da me scritto con un incipit folgorante, ma invero poco elegante: “Caro dottor Grillo, Lei è un coglione”. Sono passati circa trent’anni, ma non perde occasione per rinfacciarmelo divertito.
Siamo rimasti sempre in contatto. Anzi lui, cattolico militante (meglio: cristiano, come preferisce dire), mi coinvolge di tanto in tanto in alcune delle sue innumerevoli iniziative di impegno sociale. La messa di Natale al carcere di San Vittore da qualche anno è diventata per me (e grazie a lui) un impegno ineludibile.
“Stare con i giovani non è un lavoro, è una vocazione, è una questione di cuore”, scrive nel suo libro. E parlando del suo spirito di servizio: “Io sono quella roba lì: un cameriere, una persona al servizio degli altri”. Quando gli si accenna timidamente alla possibilità che qualcuno, prima o poi, gli chieda di ritirarsi dal lavoro, risponde con le parole che ha usato nel libro: “la mia preoccupazione piuttosto riguarda le autorità accademiche di domani. Temo che non capiscano e pensino di liquidarmi mandandomi in pensione. No, io voglio morire qui; in caso contrario saranno responsabili di omicidio perché per me lasciare la Bocconi vuol dire morire e siccome anche loro dovranno morire dovranno fare i conti con il Padre Eterno che gliela farà pagare cara con l’inferno”.
Per me è da sempre un uomo affascinante, un uomo che fa tanto per gli altri senza ostentarlo e senza mostrare il potere che pure amministra. Lo apprezzo anche quando si diverte a prendermi in giro dicendomi: “tu non puoi capire, noi cristiani abbiamo un vantaggio su di voi: abbiamo l’eternità”.
E ogni tanto, quando preso dal mio razionalismo cerco di capire e di spiegare tutto, mi viene in mente lui e una sua frase di sempre: “La vita è mistero”.