Mi sono laureato a metà degli anni Ottanta. Si trattava di un periodo di forte cambiamento per l’Italia: l’istituzione del comparto industriale iniziata massicciamente a partire dal secondo Dopoguerra arrivava a compimento, la crescita del terziario era molto significativa e infine si verificava uno sviluppo degli ambiti bancario e assicurativo del tutto inedito. Studiare economia e ragionare su questi temi era per i miei compagni e per me l’occasione non solo di predisporsi all’ingresso nel mondo del lavoro, ma anche di cercare una maggior comprensione del clima del Paese in cui stavamo vivendo, dotandoci di strumenti che forse potevano rivelarsi utili.
In quegli anni la parola impresa aveva un significato solo. Si trattava di un’attività economica più o meno grande, che poteva operare in un settore o nell’altro, e la maggior parte di noi ci avrebbe cercato un impiego, alcuni altri invece avrebbero provato a mettere in piedi la propria, di impresa, con tutte le difficoltà del caso. Ma con difficoltà che, messe in conto, si sarebbero potute anche affrontare. Il clima era buono, le possibilità c’erano.
Oggi invece il significato della parola impresa, per i giovani e anche per i meno giovani, è quello più comune, quello suggerito dalla frase “fare un’impresa”. Soprattutto se il tema di cui si parla è il mondo del lavoro. Sembra infatti un’impresa trovare occupazione, figurarsi provare in proprio, mettendo in gioco le proprie intuizioni, il proprio talento e le proprie competenze. Sembra una partita persa in partenza, e l’impresa non la si tenta neanche. Il clima pesantissimo della recessione ormai pluriennale non solo ci fa stentare ogni giorno, ma toglie anche ogni prospettiva di futuro.
E naturalmente le cose, messe così, non possono andare. Impresa, che vuol dire lavoro, deve tornare nell’ambito dell’economia, e lasciare quello degli sforzi di Ercole, perché tanto non ce li possiamo permettere. Come si fa? La Regione, soggetto in questo senso decisivo, deve saper lavorare in maniera corretta e proficua sui bandi europei, affiancando risorse internazionali e nazionali per creare nuove occasioni di sviluppo e di formazione. Perché il lavoro parte dal saper fare il lavoro stesso, e saper fare il lavoro stesso poggia sulle competenze acquisite con la formazione, sia che si sia giovanissimi sia che non lo si sia più e si debba ripartire. Inoltre un compito che la Regione può e deve assumersi è quello di un ragionamento ampio sull’accesso al credito, con forme di compartecipazione che partano da una valutazione seria delle progettualità. E ancora, la Regione deve garantire bandi di finanziamento che si basino su regole chiare e su commissioni di giudizio che si esprimono in maniera cristallina.
Impresa, in Regione Lombardia, deve quindi essere una cosa: il trasformatore delle energie potenziali nella concretezza di una realizzazione che si fa occupazione. Le energie ci sono, spetta alla politica, per una volta, fare l’impresa. Di far fare impresa e favorire l’occupazione. Ripartendo, finalmente.