Ha attraversato la Prima e la Seconda Repubblica. Incontrastato Presidente della Regione Lombardia dal 1995, Roberto Formigoni per quasi vent’anni ha governato una delle regioni più ricche d’Europa e costruito un sistema di potere forte e spregiudicato, giunto ora al capolinea.
Anni in cui è stato stravolto il sistema sanitario lombardo, in cui la prestigiosa sanità pubblica è diventata affare per privati, danneggiando “il patrimonio di reputazione costruito dal lavoro di generazioni di medici e infermieri, di impiegati e di tecnici in camice bianco. Anni in cui è stata negata la complicità tra la ’ndrangheta e i vertici della sanità lombarda, garantendo invece le nomine di buoni amici dei clan calabresi alla guida di Asl” in città importanti della regione.
Ma è l’ultimo mandato, il quarto, segnato in un solo anno da continui scandali e numerose inchieste, che più di tutti sintetizza lo scempio: iniziato con le contestazioni sulla ineleggibilità dello stesso Formigoni; continuato con l’accertamento delle firme false già al momento della presentazione del suo “listino”; chiuso sotto i colpi delle inchieste giudiziarie che hanno coinvolto ben 13 consiglieri e con l’arresto dell’assessore alla Casa Zambetti per voto di scambio (ma ricordiamo che sono cinque gli assessori delle varie giunte Formigoni finiti in carcere con diverse accuse).
Al di là delle indagini ancora in corso e dei reati da dimostrare, resta nero su bianco l’eredità dell’era Formigoni. La sua cattiva amministrazione e le innegabili responsabilità, quanto meno politiche e di controllo, nell’uso discutibile del denaro pubblico: il Celeste è iscritto nel registro degli indagati per i buchi nei bilanci della Fondazione Maugeri e dell’ospedale San Raffaele; ha voluto la costruzione del nuovo Pirellone, il grattacielo più alto di Milano, costato 400 milioni di euro; ha ricevuto un avviso di garanzia per corruzione: il faccendiere Pierangelo Daccò gli avrebbe corrisposto tra il 2001 e il 2011 un valore di 8,5 milioni di euro in utilità. Ricordate? Le vacanze “di gruppo” senza giustificativi, dal capodanno ai Caraibi alla Pasqua in Costa Azzurra; lo sconto sulla villa in Costa Smeralda; i 3,7 milioni per gli yacht; i 500mila euro in ristoranti; i 600mila euro in finanziamenti elettorali… E intanto l’Italia sprofondava nella crisi economica e le imprese lombarde chiudevano una dopo l’altra.
Una crisi che al Pirellone evidentemente non veniva percepita, se ancora pochi mesi fa decine di consiglieri venivano indagati per uso improprio dei rimborsi regionali (soldi pubblici anche questi). Eppure lo stesso Formigoni continuava ad affermare: “Le indagini sono basate su un equivoco, non c’è nessun Batman in Regione Lombardia”.
Una difesa arrogante, la sua, di un sistema che mentre crollava trascinava con sé l’immagine delle istituzioni regionali. Un disfacimento simboleggiato proprio dal Formigoni pubblico degli ultimi tempi: capace di parlare di sé in terza persona davanti ai microfoni e persino di presentarsi nelle occasioni ufficiali con quel look hawaiano così poco rispettoso del suo alto ruolo istituzionale.
Ora è il tempo del decoro.